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DOMANDE FREQUENTI
(frequently asked questions – FAQ)



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D: Dott. Viola, per quante sedute potrebbe durare una sua consulenza psicologica?

R: durerà per un numero di sedute che Lei riterrà adeguato alla sua condizione ed alle sue aspettative. Potrebbe durare anche una sola seduta, ed in tal caso le ragioni potrebbero essere fondamentalmente tre:
che Lei abbia ottenuto immediatamente le risposte ed i risultati di cui aveva bisogno (ed in tal caso ne sarei enormemente felice)
oppure che Lei non si sia sentito/a abbastanza a suo agio, relativamente alle sue esigenze ed alle sue aspettative, nella specifica relazione d’aiuto che io le sto offrendo (e questa è una sorta di variabile X di cui tengo sempre conto, e di cui noi psicologi dobbiamo sempre e necessariamente tenere conto, e che potrebbe intervenire anche in itinere nel corso delle sedute successive)
che io abbia ritenuto di non poter affrontare la problematica da lei presentata.

Quando inizio una consulenza psicologica con un cliente, la mia più sincera e viva speranza è che duri per un numero di sedute che sia il più basso possibile, nutrendo personalmente la ferma motivazione ed il desiderio di aiutare il cliente a chiarire, migliorare o risolvere la sua problematica nel tempo più breve possibile.
In ogni caso per me è importante che il cliente si senta sempre assolutamente libero di decidere e scegliere quando terminare o interrompere il percorso di consulenza psicologica. Lascio poi alle sue valutazioni ed esigenze personali, stabilire il numero e la frequenza delle sedute di cui ritenga di avere bisogno, naturalmente compatibilmente con la mia disponibilità.



D:  è importante che le racconti i miei sogni?

R: sì, è importante, se riesce a ricordarli. In tal caso sarebbe utile se riuscisse  a prenderne nota.
Questo perché i sogni veicolano elementi preziosi e importanti relativi alle dinamiche mentali inconsce delle persone, e che pertanto possono costituire uno spunto prezioso di analisi psicologica e di arricchimento e crescita in merito ad aspetti conflittuali del cliente. Nella mia concezione, il sogno può rappresentare oltre che la realizzazione allucinatoria e mascherata di desideri inconsci inaccettabili (punto di vista psicoanalitico freudiano),
la rappresentazione simbolica di un conflitto intrapsichico e/o interpersonale
un tentativo di autodiagnosi e  autoriparazione, quindi un tentativo auto-terapeutico rispetto a problematiche e conflitti irrisolti (punto di vista dell’analisi mentale di Majore)
l’espressione metaforica di un problema e una forma di autoinganno, in quanto percepire pensieri e sentimenti nella forma del sogno, consente all’individuo di distanziarsi dai suoi stessi pensieri e sentimenti conflittuali (punto di vista adleriano di psicologia individuale)

Personalmente ritengo importante cercare di comprendere il significato del sogno nel contesto dello stile di vita della persona, quindi aiutarla ad avvicinarsi e a comprendere i pensieri ed i sentimenti convogliati dal sogno in relazione a eventuali aspetti conflittuali della sua vita mentale, per arrivare (quando ciò sia possibile) a un’interpretazione del sogno condivisa e co-costruita, e illuminante per le problematiche presentate dal cliente.



D:  durante le sue consulenze psicologiche dovrò stare sul classico lettino psicoanalitico?

R: normalmente conduco le mie consulenze psicologiche faccia a faccia col cliente. Tuttavia, nel corso di alcune sedute, e in relazione ai contenuti emersi dalle precedenti sedute, potrei chiedere al cliente di sdraiarsi sul lettino, aprendo particolari tematiche di riflessione, o invitandolo alle libere associazioni: il lettino o divano si rende opportuno per consentire al cliente di raggiungere un maggiore grado di rilassamento, e pertanto, per rendere più probabile l’emersione di contenuti inconsci o conflittuali. Nel caso in cui mi sia stata richiesta una consulenza ipnoterapica, la parte delle sedute dedicata all’applicazione delle tecniche ipnotiche viene condotta normalmente e prevalentemente con il cliente sdraiato sul lettino: naturalmente questo consente alla persona di rilassarsi più velocemente, e pertanto rende più probabile il raggiungimento di un grado di trance ipnotica più profondo. Tuttavia, qualora il cliente abbia difficoltà (per varie ragioni) a sdraiarsi sul lettino, conduco comunque la seduta, evitando questa circostanza per lui indesiderata o sgradita.




D:  a quale approccio o stile psicologico fa riferimento nella conduzione delle sue consulenze psicologiche?

R: personalmente ritengo che ogni psicologo conduca le proprie sedute secondo uno stile del tutto soggettivo e personale, caratterizzato dalla concorrenza di più fattori: la sua sensibilità personale, il suo carattere, la sua personalità (naturalmente qua entrano in gioco la capacità di modulare le proprie emozioni, di sintonizzarsi con il cliente, l’empatia, e in generale la capacità di stabilire un rapport equilibrato), la sua formazione culturale e pertanto il livello qualitativo e quantitativo del suo curricolo universitario e formativo, e l’adesione a particolari paradigmi della psicologia. Sono solito condurre le mie sedute di consulenza centrando il mio stile e le mie modalità di conduzione sulla problematica e sulla personalità particolari del cliente: questa è la ragione perché definisco il mio stile eclettico. Sulla base delle problematiche, della personalità, e dei contenuti che emergono via via dalle sedute, applico test psicologici specifici, e mi rifaccio a paradigmi teorici adeguati e pertinenti, limitatamente alla mie conoscenze teoriche. Mi ritengo uno psicologo in continua formazione, e sono solito approfondire le mie conoscenze anche sulla base dei casi trattati, utilizzando libri specialistici in lingua italiana, inglese e spagnola. Finora mi sento più vicino ai paradigmi della psicologia psicodinamica, cognitivo-comportamentale, alla psicologia individuale e analitica, alla psicologia umanistica, alla psicologia costruttivista e sistemico-relazionale: pertanto finora faccio maggiore riferimento a questi ambiti teorici, unitamente alla vasta materia dell’ipnologia, quando mi venga richiesto. Cerco inoltre di approfondire continuamente le mie conoscenze teoriche in questi ambiti; tuttavia, nutrendo sempre un vivo interesse e una profonda curiosità anche per tutti gli altri approcci psicologici, mantengo un’ampia apertura all’apprendimento della loro teoria, e conto di approfondirne, col tempo, le varie tematiche. Faccio inoltre riferimento alla tecnica psicoterapeutica bionomica (Schultz), nella quale sto attualmente specializzandomi, ed alle tecniche ipnoterapiche secondo un’impostazione “diversificata e centrata sul cliente” (Tebbetts, Hunter).




D:  quando le viene richiesto l’utilizzo specifico dell’ipnosi,

in genere come imposta l’intervento?

R: in primo luogo sono solito tracciare un quadro anamnestico del cliente e valutare, attraverso l’applicazione di alcuni test, il livello del funzionamento psicologico della persona e la presenza di eventuali deficit nelle aree principali. Qualora il cliente mi richieda l’utilizzo di una tecnica ipnoterapica specifica, se ravviso che esistono le condizioni per poterlo fare, lo accontento, altrimenti sono solito applicare le tecniche ipnoterapiche che ritengo più adeguate alla sua problematica ed alla sua personalità, sulla base degli elementi che emergono nel corso delle sedute, e secondo uno stile di “ipnoterapia diversificata e centrata sul cliente”. Esiste una ricca varietà di tecniche ipnoterapiche: personalmente ritengo che non esista una tecnica ipnotica più efficace; penso invece che esista una o più tecniche più funzionali e più adeguate a una specifica problematica e ad una persona. Questo sostanzialmente significa “centrare flessibilmente l’intervento sul cliente”.




D:  vorrei meglio capire a che cosa si indirizza il suo intervento di consulenza psicodiagnostica integrata, e come si connota di preciso? E’ assimilabile a un processo valutativo diagnostico di tipo psichiatrico, per cui alla fine mi dirà se ho un disturbo psicologico e il suo nome?

R:  no, il processo di consulenza psicodiagnostica integrata da me svolto entro un pacchetto di 4-5 sedute (quando specificamente richiesto) o in un tempo più lungo (quando nell’ambito di una consulenza psicologica protratta nel tempo) non è in alcun modo assimilabile a un processo psicodiagnostico classificatorio di tipo psichiatrico: pertanto, alla fine di tale processo, non fornisco alcun codice particolare, nome o etichetta di qualsiasi genere. Fornisco bensì una relazione che renda conto del funzionamento psicologico globale della sua personalità.
Più precisamente è importante notare che il processo di consulenza psicodiagnostica integrata da me svolto non si configura come un processo valutativo di carattere nosografico (classificazione per categorie di disturbi secondo la soddisfazione di specifici criteri) come tipicamente avviene in ambito psichiatrico. Tale processo detiene bensì una connotazione essenzialmente psicodinamica, incentrandosi pertanto sull’individuazione delle caratteristiche salienti che contraddistinguono la specifica organizzazione strutturale di personalità e il suo livello evolutivo. Pertanto questo processo rappresenta il tentativo di fornire, in un tempo che sia il più breve possibile, un quadro generale di indicazioni psicodiagnostiche dal quale si può evincere non soltanto la gamma dei sintomi psicologici più pregnanti eventualmente presenti, ma anche una descrizione dei fattori psicodinamici conflittuali insiti in quella peculiare struttura di personalità, i tratti personologici salienti, un’indicazione primaria del livello evolutivo e del tipo di personalità. Quindi, il fine ultimo di tale processo non è quello di fornire una diagnosi psicologica corrispondente a un codice o un’etichetta descrittiva (come ad esempio una diagnosi psichiatrica basata sul DSM-IV), ma una visione generale che consenta alla persona di conoscere e capire più chiaramente il funzionamento globale della sua personalità nel suo dinamismo psicologico e nella presenza eventuale di fattori conflittuali che si pongono alla base di condizioni disadattive o della presenza di sintomi psicologici. Tale processo pertanto, nella sua essenzialità vuole offrire all’utente una prima opportunità di conoscersi più profondamente nel suo peculiare funzionamento psicologico, e può costituire un utile e fondamentale stadio preliminare all’eventuale decisione di intraprendere un percorso psicoterapico che sia opportunamente e specificamente orientato sulla base dei dati raccolti.




D:  qualche tempo fa ho svolto insieme a lei una serie di sedute di consulenza psicologica. Vorrei sapere se a distanza di tempo potrei tenere con lei alcune altre sedute, che mi consentano di approfondire meglio alcuni aspetti attuali.

R:  Sì.  Se si sente motivato/a e se i miei impegni attuali me lo consentono, può riprendere le sedute di consulenza psicologica e/o psicodiagnostica integrata e ipnositerapia, quando lo ritenga più opportuno.




D:  che differenza c’è tra un intervento di consulenza psicologica e una psicoterapia?

R: La consulenza psicologica è un intervento tipicamente focalizzato su una problematica specifica, avente l’obiettivo di mobilitare risorse sane del paziente, così da consentirgli di recuperare un sufficiente livello di funzionamento e adattamento nel più breve tempo possibile.
E’ dunque un tipo d’intervento la cui durata temporale è medio-breve. Generalmente la consulenza psicologica, proprio perché è focalizzata su una problematica specifica, non si propone l’analisi del profondo, né cambiamenti strutturali della personalità: per questa ragione, la consulenza psicologica potrebbe non risultare abbastanza efficace per quei problemi che rappresentano dei derivati di organizzazioni di personalità particolarmente patologiche, come quelle appartenenti ai livelli psicotico e borderline, che invece richiedono tempi d’intervento molto più lunghi (spesso anche anni): in tal caso la consulenza psicologica potrebbe profilarsi come stadio valutativo antecedente l’inizio di una psicoterapia. La consulenza psicologica è particolarmente indicata per il trattamento di problematiche di tipo nevrotico.
Per quanto concerne la psicoterapia, il suo obiettivo fondamentale è quello di determinare modificazioni nella struttura della personalità, così che i cambiamenti positivi prodotti siano sufficientemente stabili nel tempo: per questo motivo una psicoterapia richiede un impegno temporale medio-lungo, solitamente non meno di un anno. Generalmente la psicoterapia si propone di modificare gli schemi mentali e gli atteggiamenti erronei disfunzionali, e per questo comporta un’analisi del profondo e un impegno considerevole del paziente.
La psicoterapia, dato il presupposto della durata temporale (nei casi più gravi può durare anche alcuni anni o parecchi anni) può agire a 360 gradi su qualsiasi tipo di disturbo afferente a ogni livello evolutivo dell’organizzazione di personalità, dal nevrotico, al borderline, fino a quello psicotico. Alcune psicoterapie a indirizzo psicodinamico possono durare anni, anche a prescindere dal livello di gravità del problema o del disturbo, in quanto improntate a un processo di svelamento dell’inconscio e di scoperta ed esplorazione del proprio Sé: in tal caso la psicoterapia si configura come un percorso facilitante il processo d’individuazione (armonizzazione della personalità) e di crescita personale.
Una cosa è certa: non si pensi in alcun modo, seguendo l’onda di certi stereotipi distorti e tristemente diffusi soprattutto qua in Italia, che chi si rivolge allo psicologo sia matto o abbia un problema mentale grave. Non è affatto così!!!! La persona può richiedere l’ausilio di una consulenza psicologica o di una psicoterapia semplicemente per chiarirsi alcuni dubbi sulle proprie dinamiche relazionali, oppure per affrontare un periodo di crisi coniugale o di coppia, per risolvere un processo di lutto, per affrontare una crisi esistenziale, ecc., o anche semplicemente per analizzare in profondità la propria personalità e conoscersi meglio, accelerando il proprio processo di crescita psicologica.




D:  come posso sapere se la mia problematica attiene a una struttura di personalità nevrotica, oppure borderline o psicotica?

R: Questo tipo di valutazione, tipicamente psicodinamica, può essere fornita da un processo psicodiagnostico integrato, che tenga conto non solo della sintomatologia presente, ma anche dei meccanismi di difesa e di regolazione degli impulsi e degli stati emotivi, del senso d’identità, della forza dell’Io e della sua resilienza, dell’integrità dell’esame di realtà e della qualità delle relazioni oggettuali. Per questo motivo una tale valutazione, affinché sia sufficientemente attendibile, può richiedere un numero cospicuo di sedute, raramente inferiore alle sei sedute, ma preferibilmente di 10-12 sedute: è indispensabile somministrare un congruo numero di test di valutazione psicodiagnostica, tracciare un quadro anamnestico ben definito, avere un tempo sufficiente per la valutazione dei meccanismi di difesa dominanti (deducibile dai colloqui clinici e da un processo analitico). Nel caso del check-up psicologico da me svolto, indico un numero minimo di 5 sedute: tuttavia per effettuare una diagnosi del livello evolutivo di personalità 5 sedute potrebbero non essere sufficienti, e in tal senso l’esito del processo svolto in 5 sedute potrebbe fornire soltanto un’ipotesi diagnostica sul livello evolutivo di organizzazione della personalità (fornendo naturalmente, insieme a tale ipotesi, un quadro composito di informazioni diagnostiche molto più dettagliato, che può comunque emergere dal processo di valutazione svolto in 5-6 sedute). Talvolta la diagnosi psicologica del livello evolutivo può essere lampante (una o due sedute) in quanto emergono elementi diagnostici inequivocabili (ad esempio un esame di realtà fortemente distorto e deteriorato, tipico del livello psicotico). Altre volte, il quadro globale dell’organizzazione di personalità può essere molto più sfumato e nebuloso, come nel caso di alcune personalità di livello borderline e nevrotico, e in tal caso la definizione della diagnosi del livello evolutivo può richiedere più tempo.




D:   che utilizzo fa dell’ipnosi regressiva?

R: Per me l’ipnosi regressiva è soltanto una tra le tante tecniche dell’ipnositerapia (che costituisce una materia molto ampia e nobile), la quale è ormai improntata a un approccio integrativo e flessibile di tecniche. In particolare utilizzo l’ipnosi regressiva come tecnica analitica psicogenetica e abreativa, orientata all’individuazione di antefatti traumatici, e alla conseguente abreazione (il rilascio, la scarica di un flusso emozionale bloccato) delle cariche emotive incapsulate. In tal senso utilizzo l’ipnosi regressiva con gli stessi scopi e con gli stessi intendimenti di quelli che erano di Sigmund Freud quando all’inizio della sua carriera faceva uso della tecnica ipnotica (come abbondantemente documentato dai suoi stessi scritti). Il mio utilizzo dell’ipnosi regressiva è sostanzialmente analitico e terapeutico, rivolto all’esplorazione dell’inconscio del paziente. Talvolta questa tecnica, data la scarsa responsività ipnotica del paziente, produce poco materiale, cioè non più di qualche immagine o sensazione. Anche in questi casi, tali prodotti sono comunque utili in quanto materiale emergente dall’inconscio, e dunque preziosi nel processo analitico di svelamento dell’inconscio. Quando il processo ipnoregressivo funziona, poiché il paziente detiene una buona responsività ipnotica, esso può produrre abreazioni molto intense e profondamente significative relativamente alla problematica esperita dalla persona. Per tale motivo, questa tecnica è applicabile a personalità sufficientemente integre (sono da escludersi le personalità psicotiche e borderline gravi: questo è il motivo per cui l’ipnosi regressiva non può essere applicata senza una minima valutazione psicodiagnostica iniziale) e in grado di svolgere un buon lavoro introspettivo e autoriflessivo: sconsiglio alle persone mosse da semplici curiosità per l’esistenza di vite precedenti di rivolgersi alla mia pratica professionale. Il mio punto di vista è che poco importa sapere chi eri prima di questa vita. Invece molto più importa raggiungere la consapevolezza dei meccanismi mentali sottesi al tuo malessere: l’ipnosi regressiva, ovunque essa porti (non importa se alla giovane età adulta, o all’adolescenza, o all’infanzia, o a un’ipotetica vita precedente) assume importanza solo dal momento in cui fornisce lumi di comprensione relativamente al malessere attuale, e diviene pertanto fonte di consapevolezza e cambiamento positivo per ciò che sei e che potresti essere.




D:   che differenza c’è tra ipnosi regressiva e ipnositerapia?

R: L’ipnosi regressiva è una delle tante tecniche dell’ipnositerapia. Rispetto alla maggior parte delle altre tecniche ipnoterapiche, l’ipnosi regressiva richiede comunque un buon livello di responsività ipnotica, che in una buona parte di soggetti non è presente da tutto principio: generalmente in questi casi poche sedute non producono esiti pregnanti (in tal caso l’addestramento personale condotto individualmente a casa con la pratica di sessioni di autoipnosi o sessioni guidate dall'ascolto di cd potrebbe essere molto utile e proficuo per le sedute successivamente condotto nello studio dell'ipnoterapeuta; ovviamente anche la frequenza e il numero di sedute di ipnoterapia regressiva condotte nello studio dell'ipnoterapeuta può fare la differenza, poiché con l'addestramento generalmente aumenta il grado di responsività ipnotica). La maggior parte delle altre tecniche ipnoterapiche non necessita di particolare responsività ipnotica, potendosi applicare anche in stati ipnoidali (leggere o leggerissime trance ipnotiche). Oggi l’ipnositerapia, nelle sue molteplici tecniche, utilizza tecniche cognitivo-comportamentali, gestaltiche e analitiche, e può essere utilizzata proficuamente in un’ampia varietà di disturbi psicologici, o semplicemente come tecnica di rilassamento terapeutico.




D:  quale dovrebbe essere la frequenza ideale delle sedute, per lo svolgimento di una psicoterapia o di una consulenza psicologica?

R: La frequenza ideale delle sedute di un intervento psicoterapico o di counseling deve necessariamente tenere conto della gravità della problematica presentata dal paziente. Vi sono condizioni di malessere psicologico così grave e pregnante da richiedere un elevato contenimento e un intervento intensivo, che possono essere realizzati soltanto con non meno di due o tre sedute alla settimana. Per condizioni di moderata o lieve gravità, la frequenza ideale d’intervento è di una seduta alla settimana. Una frequenza inferiore (una seduta ogni 15 giorni, una seduta ogni tre settimane, una seduta al mese) sottrae incisività ed efficacia al processo terapeutico e analitico, sia per quanto riguarda il lavoro introspettivo personale del paziente, che per ciò che concerne l’applicazione delle tecniche psicoterapiche e analitiche dello psicoterapeuta. Per questa ragione sconsiglio vivamente una frequenza d’intervento inferiore a una seduta ogni due settimane: infatti, per frequenze inferiori il tempo che intercorre tra una seduta e l’altra è talmente ampio da far perdere un sensibile livello di continuità e coerenza al lavoro terapeutico e analitico svolto. Fatte queste considerazioni, comunque, lascio sempre al paziente la piena libertà di scelta della frequenza delle sedute, la quale può essere eventualmente condizionata da fattori d’ordine economico: ciononostante, qualunque sia la natura dei fattori determinanti la scelta della frequenza, il paziente deve essere consapevole che la riduzione della frequenza delle sedute sottrae efficacia e senso all’intervento svolto.

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